Perché La Sterlina Ai Minimi Fa Aumentare Le Aspettative Di Inflazione

Il Brexit sta iniziando a far sentire i suoi effetti non solo sull’economia britannica, ma anche su quella europea. Nell’ultima settimana abbiamo assistito ad un evento storico: per la prima volta, infatti, la sterlina vale meno dell’Euro. Ma una sterlina così debole significa anche un’inflazione molto elevata! E’ questo il problema più rilevante dell’economia britannica. A prescindere dal crollo di qualche giorno fa, che potrebbe trattarsi solo di un incidente di percorso, se il deprezzamento della sterlina ha portato benefici a qualche azienda (come le multinazionali con molti ricavi all’estero e agli esportatori), sicuramente ha portato anche ad un effetto negativo: l’accelerazione dei prezzi. Le aspettative di inflazione misurate dal mercato, sono arrivate qualche giorno fa al 3,5%, il massimo dal 2014. Dati non certo positivi per un paese come la Gran Bretagna.

Altri fattori (premi al rischio e premio liquidità) possono avere una certa influenza sugli strumenti finanziari che sono usati per valutare queste attese sui prezzi. Ma a prescindere da questo, essi puntano a tassi di inflazione piuttosto elevati da molto tempo, sicuramente da prima del referendum sul Brexit. La media del primo trimestre 2016 delle aspettative a 5-10 anni era pari al 3,2%, contro il 2,8% di un sondaggio condotto da YouGov/Citigroup e il 2,9% del sondaggio GfK (presi come riferimento dalla Bank of England). Dopo il voto sul Brexit, le aspettative sono sicuramente aumentate, ma solo per le scadenze più vicine, da un anno fino a cinque anni. La Banca d’Inghilterra ha segnalato il fenomeno con chiarezza nel suo consueto “inflation report” di Agosto, ovvero l’ultimo pubblicato (il prossimo è previsto per novembre). In esso, risultava evidente come le aspettative a più lungo termine misurate (tra le famiglie) da YouGov erano in realtà calate nel mese e mezzo dopo il referendum dal 2,7% al 2,4% (e sono successivamente salite al 2,6%), e quelle misurate dai mercati finanziari erano passate dal 3,1% al 3%. I rialzi dei giorni scorsi, seguiti da un successivo balzo rivelano quindi una tendenza nuova. Almeno in parte. Vedendo questi dati, la Banca d’Inghilterra è rimasta piuttosto prudente. Ad Agosto ha spiegato che le aspettative di inflazione, malgrado l’impatto della sterlina debole, rimangono ben ancorate, pur riconoscendo la necessità di monitorarle costantemente. Banche centrali di altre paesi sono concordi nel ritenere che vi sia la necessità di rendere ulteriormente espansiva la politica monetaria britannica, che oggi ha tassi vicini allo 0,25% affiancati da un QE da 60 miliardi di sterline (da aggiungere ai 435 miliardi di acquisti già effettuati).

Tuttavia, anche con tali aspettative, l’inflazione potrebbe aumentare ancora e la stessa Banca d’Inghilterra aveva portato le sue previsioni di inflazione all’1,9% per settembre 2017 (rispetto al precedente 1,5%) e quelle per settembre 2018 al 2,4% (dal precedente 2,1%), contro un’inflazione di settembre pari allo 0,6%. E’ possibile inoltre che l’inflazione superi i livelli previsti fino a ottobre 2018, per calare poi successivamente fino a ottobre 2019. Ad ogni modo, vi è una piccola probabilità che l’inflazione possa superare il 3% per tutto il periodo. Molto dipenderà dalla misura del calo della sterlina. Sul suo deprezzamento incidono molti fattori, alcuni temporanei legati alle fluttuazioni dei mercati, altri strutturali. Ma la Gran Bretagna ha anche un noto problema di deficit sulle spalle, sia quello fiscale che quello corrente nei conti con l’estero, che già prima del referendum erano fonte di preoccupazione per il governo e il Fondo Monetario Internazionale. Di conseguenza la sterlina, secondo le stime dell’Fmi del 2015, appariva sopravvalutata del 18%.

fonte: Il Sole 24 Ore

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