L’Impatto Della Crisi Ucraina Sui Mercati Finanziari
La crisi in Ucraina sta suscitando molta preoccupazione in Europa e nel mondo intero. Infatti, a soffrire della situazione non sono soltanto i paesi limitrofi ma anche le altre economie internazionali. Sul fronte dei mercati finanziari a farne le spese potrebbero essere infatti tutti quei paesi maggiormente legati all’importazione di materie prime. Come ha detto qualche giorno fa l’economista Giacomo Vaciago, “ai mercati non piacciono i carri armati, non c’è più un’industria bellica che guadagni quando c’è uno sferragliare di carri armati“. Per cui oggi analizzeremo tutte ripercussioni della crisi in Ucraina sui mercati finanziari.
Oggi sono molti i titoli ad essere influenzati dalle operazioni russe in Crimea. Mentre la maggior parte dei listini vivono complessivamente giornate di forti ribassi, possiamo notare come alcune singole azioni soffrono la crisi più di altre. Ovviamente, i più esposti alla volatilità sono i titoli di quelle aziende che hanno una rete di interessi nell’area. In particolare, sono gli istituti di credito ad essere maggiormente colpiti: ad esempio, la francese Société Générale e l’austriaca Raiffeisen, che è arrivata a perdere oltre il 9% del suo valore dall’inizio della crisi. In Italia, invece, la banca più colpita da questa situazione è Unicredit, ma è tutto il settore bancario che segna una flessione di oltre il 3%. Nello specifico, l’istituto italiano ha chiuso le sue filiali a Sinferopoli e ha ridotto l’orario degli sportelli in Crimea. UniCredit gestisce in Ucraina asset per circa 3,84 miliardi di Euro attraverso una rete di 435 sportelli che servono circa 1 milione di clienti retail, circa 6.300 clienti corporate, più di 60 mila piccole e medie e 780 clienti di private banking. L’Ucraina pesa per lo 0,4% dei prestiti del gruppo Unicredit. Tuttavia, secondo gli esperti di Mediobanca Securities, l’Ucraina non influenza gli utili di Unicredit, così come per quelli dell’altra grande banca italiana, Intesa Sanpaolo. Gli analisti sostengono che per entrambi i gruppi l’esposizione nel paese è limitata, perché le due banche hanno azzerato gli avviamenti delle filiali ucraine (Ukrsotsbank e Pravex).
A mio parere, il mercato aveva sottostimato il rischio che la situazione in Ucraina degenerasse, danneggiando così gli investitori. Le altre aziende che stanno subendo la crisi ucraina sono la Renault, la Carlsberg e il gruppo operante nella grande distribuzione Metro. Il gigante dell’elettronica Siemens ha registrato 2,2 miliardi di euro di vendite in Russia durante l’ultimo esercizio, mentre McDonald’s ha più di 250 ristoranti in Russia e altri 80 in Ucraina. La Pepsi nello scorso esercizio l’anno ha generato ricavi per quasi 5 miliardi di dollari in Russia con prodotti quali soda, yogurt e patatine al gusto di caviale. Andamento diverso per quanto riguarda il settore petrolifero ed energetico in generale: sebbene le interconnessioni con l’area siano fortissime, la maggiore tensione sta facendo salire il prezzo del petrolio e ciò porterà ovviamente benefici alle grandi compagnie del settore.
Conseguenze Per La Russia
L’azione russa in Crimea avrà delle serie ripercussioni economiche che potrebbero mettere a rischio anche l’accesso della Russia al WTO. Sul fronte finanziario è già possibile misurare il costo di questa operazione politico-militare. L’inizio della crisi ha di fatto comportato la fuga di capitali dalla Russia, che potrebbe aggravarsi se l’Occidente metterà in atto delle (possibili) sanzioni. E per cercare di frenare la caduta libera del rublo, la Banca Centrale dovrebbe continuare a dar fondo alle proprie riserve monetarie: ma dovrà però agire contemporaneamente sul fronte dei tassi d’interesse (come sta già facendo!). Ovviamente le ripercussioni sulla crescita economica russa saranno negative e ulteriormente aggravate da una progressiva riduzione dei già bassi investimenti diretti esteri.
Conseguenze Per L’Economia Internazionale
Come ho detto prima, le ripercussioni della crisi ucraina non saranno limitate alla sola Russia e i paesi limitrofi. La problematica principale per l’occidente sarebbe attraverso il costo delle materie prime; mentre sul fronte delle borse è misurabile in una crescita della volatilità, dell’avversione al rischio e del premio per il rischio geo-politico. Uno fra tutti, il prezzo del petrolio: le tensioni nella regione rischiano di far aumentare ancora il prezzo (già alto) delle quotazioni. Ma anche i prezzi degli altri prodotti energetici potrebbero subire sbalzi importanti. Nelle ultime settimane, il freddo polare che ha colpito gli Stati Uniti ha fatto impennare la domanda di gas e portato le scorte del 20% al di sotto del livello dello stesso periodo dello scorso anno. Ma a prescindere da questo, la domanda di petrolio a livello globale era in crescita da molto tempo: più precisamente, dell’1,6% nei paesi non-OCSE, dell’1% in quelli OCSE con un picco del +3,6% negli Usa. Se si verificasse lo scenario peggiore e venissero meno (anche temporaneamente) le forniture russe, le ripercussioni sui prezzi delle materie prime energetiche sarebbero elevate! Anche i flussi d’investimento in entrata nelle commodities sono molto alti ultimamente. E in un momento in cui la crescita economica globale resta ancora fragile una salita del costo delle materie prime si tradurrebbe in un’aumento dell’inflazione. Ciò andrebbe ad influenzare negativamente le economie più deboli, che a malapena ora stavano avendo i primi deboli segnali di ripresa! Quindi, piuttosto che una deflazione, il rischio reale per l’Europa diventerebbe invece quello di una stagflazione.